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Ti fissa dritto con quei suoi occhi di vecchio, il
viso ruvido che sembra uno dei crinali aspri e brumosi che dipinge. Si
mette in posa davanti a un quadro, una montagna in controluce che
ricorda Turner, sorride con garbo, capisci che vorrebbe essere altrove,
lontano, nella sua Puglia. Non gli piace granchè parlare di sè. Anzi,
Vincenzo Romanelli non parla proprio. è un incantevole solitario, un
signore schivo e ritroso che, ogni dieci anni ? non uno di più, non uno
di meno ? torna a Brescia (dov'è nato novant'anni fa) per esporre le sue
tele. è stato ragioniere, poi soldato, infine, quando si è trasferito a
Trani, imprenditore, del resto era il 1969 e l'Italia ansante andava al
galoppo. Autodidatta, dipinge quando gli pare (può non sfiorare il
pennello per lustri), assiste atarassico alle civettuole diatribe
dell'arte postmoderna e se un quadro non gli garba lo distrugge. Non ama
ritrarre l'uomo e, quando lo fa, sono tutte ombre dalle schiene ricurve,
volti diafani, contadini che paiono paesaggi. è la natura, la sua Musa.
Romanelli la scruta chiudendo gli occhi. Le sue tele di barche, tramonti
sanguigni, stoppie riarse, sono all'Aab, in una bella mostra curata da
Pia Ferrari. Il paesaggio, però, non c'è. Ci sono lacerti di memoria,
visioni di un cupo riserbo, cieli chiusi in una striscia nera, grumi di
colore vibrante, campi solcati da sbavature ferine che divorano i
contorni e smussano ogni plastica certezza. Romanelli ritrae un'Arcadia
corrosa, una poesia di Ungaretti, lembi tellurici scrutati con i suoi
occhi di vecchio, incantevole, solitario. C'è chi, a ragione, lo accosta
a Turner, chi, altrettanto a ragione, agli espressionisti tedeschi, chi,
poi, a Francis Bacon. Però. Lui, pur lusingato, alza le spalle. Già, non
appartiene a nessuno.
Caro Vincenzo, ci rivediamo a Brescia tra dieci
anni.
Alessandra Troncana
dal "Corriere della Sera", 2012
Si apre con "La montagna controluce", un olio e
pastello su tela, datato 2010, la mostra personale per i novant'anni di
Vincenzo Romanelli, nella sala dell'Associazione Artisti Bresciani; e la
tela introduttiva va pur indicata, considerata la freschezza con cui è
stata realizzata; non un segno fuori luogo, non un tono fuori posto.
Come se Romanelli, di fronte ad un "normale" tramonto, tra mare e
colline, riuscisse a racchiudere nel breve spazio di una tela 70x70 cm,
tutte le emozioni di una vita, anche i grigiori di quel "primo piano",
che metaforicamente appare come la quotidianità, e si apre e si dilata
nella più ampia vicenda del paesaggio, dove un biancogiallo sole sa
ancora forare le nubi e rischiarare tra il beige e il rosa, un cielo
pieno di liquidi umori: anche in questo, la trascrizione di una vita,
che sintetizza in quei bagliori e in quegli ispessimenti segnici, i
nostri stati d'animo: in questa interpretazione vien da pensare alla
maiuscola lettura che Venturi fa del "Ponte di Narni" di Corot, oggi a
Ottawa. Davvero straordinaria una pittura che sa di segno e di cromie,
essenziale nel cogliere la verità di natura e la sa trasformare in
verità dell'animo; in un tempo in cui ci si appaga del nulla, la lezione
di un "dilettante" di talento, che per tutto la vita ha affiancato alla
sua quotidianità le emozioni della pittura appare come un miracolo, un
frutto maturato fuori tempo e fuori moda e tuttavia buonissimo, in quel
vigore scabro ed essenziale che la sua lingua sa utilizzare. È
rassicurante pensare che esista ancora la pittura, come quella che si
trova nel suo Campo di mais sconvolto da un temporale o nel rifiorire
degli ulivi (Primavera: le primule ritrovano gli ulivi) in un campo
rinato dopo il letargo invernale; titoli e immagini che danno un senso
alla vita, esprimono quella vitalità della natura che troppo spesso
manca alla pittura en-plein-air d'oggi, tutta tesa a definire, più che a
cogliere. Come fa Romanelli; con uno sguardo sereno e tuttavia attento a
cogliere quelle sfumature che trascrivono nella bellezza, anche la
malinconia a volte, il venir cupo del buio della notte ("Mare
d'inverno") su un mare che si nasconde al nostro sguardo per effetto
dell'oscurità. L'uso parco del segno, l'uso equilibrato delle cromie,
sono gli esiti di una ricerca vissuta sull'esperienza; le parole non
devono sprecarsi, non devono tracimare oltre il necessario; ma solo
trascrivere quei bagliori dell'animo che hanno il senso della vita; con
quel tanto di freschezza e di gioia, con quel tanto di rasserenante
solarità, anche nelle tinte cupe della vita, che fanno bene al cuore. E
allo sguardo. Senza mitizzare e senza nostalgie; ma con la
consapevolezza che la pittura è lo strumento ideale per esprimere
emozioni di fronte al paesaggio.
Mauro Corradini
da "Bresciaoggi", 2012
Brescia Lirismi d'una vecchia guardia oltre la tradizione
Omaggi
ai novantenni Vincenzo Romanelli all'Aab e Riccardo Musoni all'Aref,
un'antologica di Simone Butti a Palazzo Martinengo,mentre il Museo
Diocesano espone piccole sculture sacre di Dino Coffani
Autodidatta, una carriera artistica frammentata ma
coerente in bilico tra figurazione e grafia informale, Vincenzo
Romanelli approda nelle opere recenti, selezionate da Pia Ferrari con
Alessandra Romanelli, in un mondo di natura selvaggia in cui le zolle di
terra e i ciottoli, le erbe basse e le stoppie, le rocce laviche e le
spiagge, i cieli tempestosi riflettono un senso panico che l'olio e il
pastello su carta, stesi con gesti rapidi e segni marcati, caricano di
energia vitale.
Giornale di Brescia
3 novembre 2012
Brescia - La pittura
con Vincenzo Romanelli fa novanta.
A tale stima numerica si attesta l'età dell'autorevole pittore
bresciano, da anni trasferitosi nelle Puglie della propria genealogica
ascendenza, nel periodo in cui il 2012 collima sia con il suo
novantesimo compleanno che con il periodo d'esordio della mostra
personale da lui dedicata alla moglie Etta Lettini Romanelli, presso la
sede dell'Aab
(Associazione artisti bresciani) di vicolo delle Stelle a Brescia, dove
l'allestimento di una cinquantina di apprezzate sue opere è esposto
fino a mercoledì 7 novembre.
Artista autodidatta, distintosi da lunghi anni nella
verace passione di una convinta e riuscita elaborazione espressiva della
propria sentita ricerca creativa, Vincenzo Romanelli offre, con la
mostra "I novant'anni"", la compendiata rappresentazione
dei suoi manufatti di più recente attuazione, eseguiti con tecniche
diverse di ispirazione, nell'ambito di una manifestazione promossa dai
suoi figli Maria Alessandra e Nico, residenti a Brescia, mentre con la
figlia Isabella l'autore ha raggiunto il capoluogo bresciano, dove è
nato nel lontano 1922, per presenziare alla partecipata inaugurazione
della mostra, avvenuta con il concorso del prefetto Narcisa Livia
Brassesco Pace, della curatrice dell'iniziativa Pia Ferrari e degli
esponenti dell'Aab, nelle persone, fra gli altri, di Vasco Frati, past
president del sodalizio, del vicepresidente Giuseppe Gallizioli, del
segretario Corrado Venturini, prodighi d'accoglienza verso il folto
pubblico degli appassionati del settore e degli estimatori del pittore.
Gradita ospite d'eccezione, la figura del prefetto di
Brescia, è stata pubblicamente salutata da Vasco Frati nel lieto ricordo
d'una felice analogia con un'altra mostra, invece collettiva, attuata
nell'ultradecennale storia dell'Aab, attraverso quell'incoraggiante
riscontro istituzionale che ancora consente di attestare la presenza del
rappresentante dello Stato in una delicata fase d'avvio per gli
appartenenti all'associazione, ad origine di un percorso che si presta a
verifica anche oggi, per la congiunturale criticità di ricognizione di
fondi necessari per l'opportuno supporto alla propria linea di azione,
svolta a promozione dell'arte e della formazione culturale del settore
in molteplice afferenza d'attribuzione: "la prima esposizione venne
organizzata il 14 ottobre 1945 in alcuni ambienti del pianterreno del
palazzo Bettoni Cazzago in via Gramsci 17, rimasto sede dell'Aab fino al
1990: parteciparono alla rassegna centoventi artisti bresciani e
all'inaugurazione furono presenti il sindaco Guglielmo Ghislandi e il
prefetto Pietro Bulloni"". Dopo le tante feconde stagioni produttive
che, per una dozzina abbondante di lustri, hanno configurato nelle arti
espressive l'associazione bresciana, a perno di riferimento
dell'evoluzione di molteplici generazioni di artisti locali, la presenza
del prefetto ha offerto un ulteriore elemento di spessore
all'interessante margine di condivisione coltivato dal sodalizio stesso
nella società civile che, all'omologa carica prefettizia di allora,
associa la riscontrata sensibilità di quella odierna nella
valorizzazione della propria peculiarità culturale, svolta nel
territorio anche per un dialogo istituzionale, foriero di genuine
speranze per il futuro in ordine all'interpretata attività sociale,
indirizzata al bene comune.
Il prefetto Narcisa Livia Brassesco Pace ha incoraggiato
l'intento culturale dell'iniziativa per quell'utilità sottintendente
l'accrescimento umano in una dinamica di opportunità che, legata ad
altre consimili, concretizza la capacità di reggere le attuali
problematiche contingenze, difficili per tutti, nella tradizionale
perseveranza di quel patrimonio ideale che esprime la ricchezza di
un'elevata ed affinata propensione umana a saper manifestare concetti ed
emozioni universali nella versatilità eclettica di metodi e di carismi
che sono significativi dei diversi artistici approcci compositivi nella
rispettiva maestria degli autori, in capo ad opere capaci di dialogare
con altrettanti contesti d'ingegno e di studio espressivo.
Nell'accennare all'età da venerando decano del pittore Vincenzo
Romanelli, Narcisa Brassesco Pace ha messo in luce la cospicua
testimonianza personale che l'artista esercita attraverso la sua
emblematica longevità, esercitata nel campo tuttora da lui percorso ed
esplorato della resa espressiva, "quasi che i suoi quadri passino in
seconda linea", rispetto al messaggio riscontrabile nel costante e
conservato impegno di fedeltà nell'arte, attraverso il suo lungo e
perdurante vissuto che a Brescia può diversamente evocare figure di
altri noti e stimati pittori, come Oscar Di Prata (1910-2006) al quale
il capoluogo bresciano ha dedicato nel 2011 la mostra postuma "Angeli e
Demoni. Drammi e Speranze del Novecento", curata da Maurizio Bernardelli
Curuz, con un'antologia critica di vari qualificati autori e con le note
biografiche ricostruite da Giovanni Quaresmini che all'artista era
legato da una personale e corrisposta amicizia. Se il prefetto, a
personale esternazione per un'empatica condivisione con la mostra "I
novant'anni" di Vincenzo Romanelli ha esplicitato la propria
preferenza al quadro, fra gli altri esposti, dal titolo "Primavera, le
primule ritrovano gli ulivi", da Pia Ferrari è giunta una generale
considerazione su una specifica ed accurata visione complessiva delle
opere realizzate dall'autore, tanto nell'eco delle più lontane stagioni
creative, quanto nell'ultimo decennio dal quale lo separa la
realizzazione di una sua mostra cittadina, correlata all'uscita in
stampa di un'elegante monografia scritta da Mauro Corradini.
L'esposizione presso la sede dell'Aab, situata in
prossimità dell'antica chiesa di "Santa Maria dei Miracoli" di Brescia,
è visitabile nell'ambiente dell'arioso salone, dalle larghe pareti e
dalle tre teche, a vetrina di allestimento, negli orari, sia dei giorni
feriali che festivi, compresi dalle ore 16.00 alle ore 19,30, nel
periodo d'apertura che, con il lunedì, come solo giorno di chiusura, si
rinnova fino al 7 di novembre, configurandosi contestualmente alla
disponibilità di un'interessante pubblicazione, attuata a supporto
dell'iniziativa, che per il numero 193 delle edizioni dell'Aab offre,
attraverso la stampa realizzata per la -F. Apollonio & C.- di Brescia,
una quarantina generosa di pagine patinate, a possibile lettura
d'approfondimento circa l'estro artistico del pittore. Tutto questo
insieme di condensato sapere manterrà la propria validità d'utile
attestazione nella valenza che lo contiene anche quando la mostra avrà
lasciato alla sicura accoglienza del tempo a venire la persistenza
dell'impronta pittorica dell'apprezzato autore su cui hanno scritto, fra
gli altri, critici come Elvira Cassa Salvi, Luigi Salvetti, Giuseppe
Canta, Guido Stella, Luciano Spiazzi, Antonino De Bono, Alberto Morucci,
Mario Monteverdi, Giuseppe Selvaggi, Lino Lazzari, Aldo Carugno,
Domenico Di Palo, Manlio Alzetta, Tato Mazzieri, Mario Lepore, Gino
Spinelli, Paolo Ricci, Lorenzo Favero, Carlo Segala, Jole Simeoni
Zanollo e Maria Punzo ed ai quali si aggiunge nell'accennata
pubblicazione, realizzata con il patrocinio di Comune e di Provincia di
Brescia, lo scritto dal titolo "Il paesaggio di ognuno" di Pia Ferrari,
elogiato, nel corso dell'inaugurazione dell'esposizione presso l'Aab da
Vasco Frati per la capacità di riuscire ad esprimere "la vivacità,
l'intelligenza, il gusto e la giovinezza espressiva" del pittore.
Pittore neofigurativo, a suo stesso dire, espressionista
progrediente verso l'astratto che, anche nelle suggestive allusioni
informali del proprio stile, con l'arte intende esprimere le emozioni
provate nel confronto con l'oggetto della propria vasta ispirazione. Le
sue opere vogliono comunicare il piacere sperimentato dall'autore nel
cogliere l'essenza e nel condividere la quintessenza di un'espressione
di peculiare consistenza nel campo di un'interiore rifrazione che
esterna ricorrendo alla generalità di composite tecniche, pure
rappresentate nella mostra attraverso lavori che richiamano la propria
natura alla matrice fattiva dei pastelli seppia su carta, piuttosto che
acrilici e pastelli su carta, come pure ad inchiostri e pastelli su
carta, ma anche a tecnica mista su tela, ad olio e pastelli su tela, a
matite colorate su carta, ad inchiostri e penna su carta ed ai soli
pastelli ancora su carta. La felicità della natura, colta nelle diverse
accezioni catturate dall'elevata ispirazione di Vincenzo Romanelli è
quella che muove il pittore a fare emergere tutto il rapporto poetico
delle cose e delle scene ritratte, in modo che la resa espressiva
riconduca, ad una limpidezza d'immediata meraviglia contemplativa,
quell'assorto moto ispiratore, presente nell'autore, davanti alle
pulsioni esercitate dal panorama naturale vivente nella modalità
attraverso la quale la creatività attuativa manifesta una freschezza
d'impatto, interpretata senza alcun filtro, denotandosi al di fuori
delle mode e delle tendenze artistiche, propugnando in questo modo la
propria asseverata durata nel tempo.
In una modalità contenutistica che vede la sua arte
esprimersi anche attraverso un piacevole accordo tra forme, segno e
colore, sviluppato in una vibrante essenzialità, intesa come valore, per
tralucere maturazioni, tensioni e rilassamenti nel movimento complessivo
del respiro vitale della natura catturata nelle sue opere, del pittore
si legge, tra altre attente considerazioni, nello scritto di Pia
Ferrari, curatrice della mostra insieme a Maria Alessandra Romanelli: "Sulle
sue tele e carte dipinte tutto si vede ed affiora alla superficie in
modo essenziale e scarno, perfino i solchi dell'acqua non si asciugano e
rimangono, non assorbiti dal suolo, a determinare tracciati visivi"".
Un'osservazione che riconduce i visitatori della mostra alla
constatazione pure riscontrata nel pittore di sapere "cogliere al
volo le affinità esistenziali tra luoghi, animali ed elementi naturali,
dalle piante alle rocce, all'uomo, fissandoli, tutti, nella loro vita
sulla terra come corpi vivi, con sofferenze, esplosioni di gioia o
spegnimenti"".
Anche questi tratti connotativi sono
confacenti all'avvincente elaborazione del paesaggio, quale efficace
miraggio spirituale per lo sguardo universale al quale ogni età riporta
la prospettiva di una latente speranza o di una riuscita conquista
acquisita, sul piano della propria effimera esistenza specularmente
attribuitavi, scaturendo dagli insondabili livelli profondi dell'anima
coinvoltavi, terreno fecondo per le otto beatitudini di evangelica
rivelazione, a trasfigurazione del Regno dei Cieli, per un'eletta
trasformazione.
Luca Quaresmini
da "Populis" 2012
La Piccola Galleria Ucai, presenta una breve ma intensa, rassegna di
Vincenti Romanelli: si tratta di un personaggio già presentato a
Brescia, dove È nato quasi 70 anni fa, ma da tempo lontano dalla nostra
e sua città. Romanelli presenta una serie di opere, dall'intenso sapore
poetico: si tratta di paesaggi, scorci di paesaggio, colti per lo più
sui toni del crepuscolo, quando la sera incombe sulle cose ed egli sente
più profondamente la poesia della natura. In quei momenti, la matita
delinea brevi tratti, a definire un oggetto od un ambiente, poi
interviene direttamente il colpo di colore a dare tono e vita alla
rappresentazione, a filtrare la materia rappresentata attraverso gli
spessori e gli umori dell'emozione che si condensa in cromie. I paesaggi
di Romanelli sono poveri di oggetti. Romanelli crede al rapporto tra
rappresentazione e rappresentato: la sua è una mimesi che ritrova nella
lontana eco della pittura tra le due guerre il sapore di una
immedesimazione totale nel paesaggio, il senso ed il gusto per una
realtà toccata leggermente, in punta di pennello, si direbbe, per non
far trasecolare l'attimo fuggente dell'emozione, che si ferma su alcuni
oggetti, si distende attraverso alcuni colori, trasale e si motiva
attraverso alcune accensioni. Ed è in questa piccola poesia della natura
che ritroviamo il piano più alto di una pittura che si presenta come
un'autentica e gradita scoperta per chi scrive.
Mauro Corradini
da "Bresciaoggi", 1990
Dire della pittura come diario dell'anima sembra quasi ripetere un
concetto troppo frequentato e perfino ovvio. Eppure nella lettura di
un'esperienza artistica non si può evitare questa dimensione, anche se
occorre guardarsi dall'assolutizzarla per non limitare il linguaggio
artistico a puro intimismo a espressione di sentimenti isolata da un
contesto che la riscatti dalla vocazione al narcisismo. Si è però
costretti a pensare in questi termini davanti agli ultimi dipinti di
Vincenzo Romanelli perchè sono tanto scopertamente autobiografici da
consentirci di rifare, attraverso la loro fonte, oggettiva efficacia, il
profilo interiore di questo schivo pittore bresciano un tempo presente
alla ribalta della cronaca artistica cittadina ma assente ormai da
alcuni anni. Anche la tecnica impiegata suggerisce di leggere questa
volontà di interiorizzazione proprio perchè ogni uso di materiale
pittorico dispiega la sua logica espressiva con caratteristiche
peculiari e non riproponibili con tecniche diverse. Vincenzo Romanelli
usa in prevalenza il pastello a volte nella sua immediata squisita
purezza, a volte commisto con altri interventi grafici o con guazzi
repentini che ne attenuano la superficie vellutata per affogarne il
brillio in campiture più pacate e amorfe. Il pastello ha precedenti
illustri e frequentazioni accademiche di alto rango ma in mano a
Romanelli si veste di una particolare forza espressiva. Non è un giocare
con le morbidezze e le sfumature che le patine gessose permettono o di
accennare vapori trasparenti e profumati: il mondo circostante viene
annodato con forza e singolare energico nervosismo, con filamenti di
colore vivido e pungente, su masse ombrose e magmi oscuri, con tagli
compositivi semplici nelle geometrie fondamentali accampate su cieli
angusti schiacciati dall'orizzonte innalzato in controluce e bagliori
tetri e vibranti. Non è vedutismo lirico e compiacente ma piuttosto una
volontà di captare negli elementi del paesaggio una solitudine amara e
desolata. Guardando queste composizioni, che appaiono come fotogrammi di
una sequenza sempre uguale e sempre diversa si comprende quanto sia
limitata l'opinione di chi vede nel paesaggio un "genere" di pura
descrittività o di banale imitazione. La natura è una grande pagina
aperta nella quale si esprime il continuo flusso della vita a cui
partecipa con rilievo indiscusso e preminente la natura umana.
L'attenzione alla natura è la presa diretta su una problematica che solo
il pittore ottuso sciupa e mortifica in un vedutismo senza stimoli
spirituali. Per questa semplice constatazione anche l'indagine di umili
scorci o di semplici momenti di natura può diventare una sigla
interpretativa di situazioni più ampie, più generali e più determinanti.
La piccola filosofia dello "sguardo sulle cose" diventa la chiave per
trovare risposta a molte domande. Forse il pericolo di questo passaggio
immediato dallo stimolo naturalistico a una interpretazione esistenziale
è quello di un eccessivo simbolismo e, anche se la tentazione è forte,
occorre saper guardare la natura con "occhi di natura" ma nemmeno si può
-aprioristicamente- escludere una risonanza interiore a certe
provocatorie contemplazioni naturalistiche e può essere altrettanto
nefasto smorzare il vibrare del richiamo spirituale solo per una volontà
di salvaguardare le ragioni della pura visualità o della specifica
sensazione coloristica. Cogliamo perciò la proposta pittorica di
Vincenzo Romanelli come un esplicito invito alla contemplazione che è
proprio la capacità di sostare sulle cose con occhio attento e libero
perchè ne nasca, lentamente ma irresistibilmente, una immersione nei
significati e nelle allusioni. Allora la natura appare grande, capace di
evocazioni suggestive del dramma interiore dell'uomo anche quando l'uomo
sembra assente mentre parlano sempre e soltanto di lui i cieli e le
piante, le pianure e le ombre, le nubi e le case.
Luigi Salvetti
20 febbraio 1990
"Ogni composizione ha le proprie peculiarit", sia formali che
contenutistiche, pur essendo comune la scaturigine di una tavolozza dai
toni morbidi e delicati, con calde e diffuse accensioni coloristiche,
che illuminano deliziosi sfondi paesistici, impreziosiscono figure
muliebri e animano dolenti personaggi attanagliati da un'atavica
sofferenza. Le opere sono eseguite con la tecnica più varia e l'esito
finale va dalla modulazione e vaporosità di dissolvenze tonali, che
riescono a cogliere le vibrazioni suggestive della natura, ai tratti
nervosi, stesi anche a spatola, come colpi di fioretto, che riescono a
catturare stati d'animo e ad incidere caratterizzazioni psicologiche.
Comunque il discorso pittorico viene condotto con grande libertà
d'azione ma con estremo impegno e rigore compositivo e sempre con una
vivacità ed una calda partecipazione, unite ad un gusto e ad un amore
quasi spasmodico per la natura, in cui Romanelli sa cogliere ogni più
delicato palpito ed esaltare ogni più intima manifestazione di vita
anche nelle cose più umili e più semplici, che potrebbero passare
inosservate, ma che, viste con un'ottica di intensa umanità, svelano
un'essenza altamente poetica.
Giuseppe Canta, 1985
Romanelli abita e lavora a Brescia. Ha esposto in parecchie mostre
italiane con personali e vari giornali hanno parlato della sua opera di
pittore. Questa comprende ritratti, paesaggi ad acquerello e ad
inchiostro, nature morte. Nei ritratti, che in ragazzo che suona il
flauto e ragazzo con fisarmonica si presentano come vere composizioni,
Romanelli è sereno, armonioso, indulgendo un pò ad una sensibilità
crepuscolare, come poteva essere di Semeghini o di Vagnetti. Il colore è
terso, rarefatto, senza essere prezioso. Nei paesaggi, il pittore
esprime il meglio delle sue possibilità di fantasia e di linguaggio
(tramonto. il fiume, barche sul fiume). Gli acquerelli e gli inchiostri
sono gustosi, delicati nei toni che toccano un notevole equilibrio tra
l'impressione vivace e la decantazione nella memoria poetica. Nelle
nature morte, Romanelli si è più impegnato (come nei paesaggi
meridionali) in composizioni robuste dove l'accento inventivo è maggiore
e più scoperto. Il suo mondo più genuino ci pare quello in cui si
esprime un rivolo autentico di poesia vergiliana, elegiaca, un canto
sommesso alla pianure e alle acque.
Guido Stella
da "La Voce del Popolo", 1982
- Un fare sciolto e insieme sintetico con abbandono di ogni ornamento
superfluo, per fare del quadro il luogo di incontro tra emozione e
concretezza del reale. Colori cercati senza compiacenze, volutamente
disadorni ma per ciò stesso maggiormente intensi e suggestivi.
Luciano Spiazzi, 1980
-Riesce ad esprimere, con caratteristica espressionistica, l'urgenza
panteistica della natura per contrapposizioni cromatiche.
Antonino De Bono, 1980
- Le figure lontano da una ricerca puramente estetica, hanno valore
soprattutto per la loro carica espressiva filtrata attraverso la serie
dei sentimenti nei quali è profusa tutta la sensibilità del pittore. E
tuttociò che la tecnica ragguardevole, con autonomia stilistica e
genuinità di espressione, doti per le quali Romanelli occupa un posto di
rilievo nell'ambito della pittura bresciana.
Alberto Morucci, 1980
Il mondo pittorico di Vincenzo Romanelli si nutre di un sentimento
che è ugualmente sollecitato dalla natura e dalla nostalgia. Son due
aspetti della sua personalità che finiscono per comporsi armoniosamente
anche se determinati da due diverse fonti d'ispirazione: l'una, quella
naturalistica, è suggerita da una diretta presa di contatto col
paesaggio (e con gli oggetti, nelle semplici ma sensibili e contenute
nature morte) in una ricerca d'essenzialità che filtra gli elementi
espressivi fino a riassumerli in una sintesi stilistica di forma e di
colore assai efficace, dalla quale vengono banditi tutti i fattori
accidentali ed estemporanei. L'altra fonte, quella affidata alla
memoria, deriva invece dalla necessità di fissare in immagine ciò che
affonda nei ricordi dell'infanzia e suscita la visione di momenti
irripetibili, l'impaccio di un vestito addirittura emblematico, la
rivelazione di nuovi piccoli mondi spalancati davanti ad occhi di
fanciullo. Qui la soluzione stilistica si fa più ardua proprio perchè
contrastata dal pudore di quelle emozioni che sino all'istante in cui il
segno ed il colore non sono venuti a trarle dall'angolo riposto della
coscienza in cui si rifugiavano, erano rimaste segrete per tutti,
fors'anche per l'autore. Ma vi è un elemento che unifica codesti due
filoni: ed è la poesia. La genuina poesia di Romanelli che, già pronta
nell'individuare i propri strumenti espressivi quando si tratta di
stabilire un lirico colloquio con la natura, s'avvia a trovare gli
accenti più personali ed autonomi che nei confronti di codeste
rievocazioni sentimentali dell'infanzia. E la meditata ricerca d'un
segno, d'altronde surrogata da un sicuro istinto, e la qualità del tono
e dell'impaginazione pittorica garantiscono all'artista bresciano è che
nella Puglia ha ritrovato la propria vena creativa ed evocativa- un suo
posto appartato nel coro frastornante di troppe voci non sempre
intonate: quel posto appartato nel coro frastornante di troppe voci non
sempre intonate: quel posto che si conviene agli artisti genuini che
hanno il pudore dei propri sentimenti ma che nel tempo stesso, provano
l'irrefrenabile desiderio di comunicare con gli altri e di trarsi da una
solitudine che, tutto sommato, è ancora un'oasi di poesia.
Mario Monteverdi
Milano, 1976
L'operazione di Vincenzo Romanelli, dinanzi al paesaggio da dipingere
e trasmettere a chi guarderà il suo quadro, è di rendere persona la
natura ed il suo ritmo. L'operazione di questo artista dinanzi alla
figura umana da indagare e dipingere risulta una sorta di
approfondimento sino a far risultare la figura un paesaggio della
natura, una realtà come le altre: spontanea. Questa intenzione di unità,
che in altri quadri va oltre l'intenzione sino a risultare unità d'arte,
è il fenomeno che di più colpisce chi osserva la pittura di Vincenzo
Romanelli, e considera i suoi quadri e i suoi disegni colorati oltre la
scorza della prima lettura. L'osservatore ha così il piacere di trovarsi
dinanzi ad un artista che medita la propria spontaneità di lavoro. In
Vincenzo Romanelli la freschezza è prima pensiero. Noi abbiamo quindi un
pittore che parte ed opera su un binario doppio. Un dualismo che viene
denunciato subito dal suo colore: tenerezza nella ricerca di momenti
tenui nel colore, affiancata ad angoscia nella ricerca di incupimento
del colore. E questo accompagnato da uno stesso pulsare del disegno. Una
linea serenamente distesa sino alla dolcezza, e insieme tratti spezzati
come ad indicare la frantumazione della dolcezza in angoscia. Il
dualismo risulta così il segno premonitore dell'esistenza, e documenta
la presenza di un pittore che arriva oltre il semplice linguaggio
grafico della pittura (che è ormai linguaggio di livello scolastico) per
avviarsi nel misterioso meandro del linguaggio della poesia attraverso
la pittura. Un dualismo che è bisogno intimo di alternativa continua, di
ricerca: com'è della natura dell'artista. La pittura di Romanelli esce
dalla sua apparenza di pittura facile e denota la tipica sana incertezza
dell'arte pensata e poi di istinto realizzata di getto che ha tutte le
caratteristiche dell'immediatezza. Un dono positivo in questo artista,
in un tempo (gli ultimissimi anni della pittura italiana) in cui prevale
il pensiero tecnicistico anche in arte, per cui una somma di situazioni
geometriche, alcune apparecchiature meccaniche, una preparazione
fotografica danno il risultato di una realtà più della realtà. In una
dei momenti più felici (perchè tutte le strade conducono all'arte, se
artisti si è) dell'iperealismo, la scelta romantica di Vincenzo
Romanelli è anche un coraggio. Romantico qui non è un termine negativo,
ma classico. Vorrebbe indicare nella pittura di Romanelli appunto quella
confluenza in unica linea delle due parallele già indicate come
meditazione e potenzialità di una pittura spontanea. Cioè si vorrebbe
stabilire come la malinconia ed a tratti la violenza della migliore
pittura di Romanelli, la scelta ragionata e assimilata dei mezzi
tradizionali di rendere pittura confluiscono in una qualità primaria di
questo artista: volontà di guidare la propria pittura, di pensarla.
Cuore e mente, potrebbe essere una semplicistica ma efficace sigla per
rendere chiaro il significato di romantico attribuito alla pittura di
Vincenzo Romanelli. Romantico, perciò, in un senso moderno. Come nella
musica dei beats. Per quanto può valere la testimonianza di uno
scrittore nei confronti di un pittore - che è resa sempre mettendosi
dalla parte di chi guarda il quadro fuori dal come è stato prodotto,
cioè fuori dalla competenza di chi fa il quadro stesso - a me sembre che
la pittura di Vincenzo Romanelli abbia premesse di sviluppi ed anche di
sorprese positive. Certi scontri di colore in alcuni suoi quadri,
scontri che hanno la gioia dell'illogicità alcune volte, sono come
l'avvertimento di qualcosa di represso. Un pittore cioè che ancora può e
deve dire, Vincenzo Romanelli non è quindi all'ultimo atto della sua
pittura.
Giuseppe Selvaggi
Roma, aprile 1975
Il pittore Vincenzo Romanelli, che espone una personale alla Galleria
d'arte "Mod", via Bofuro 5, è un figurativo che già tende ad
un'espressione libera dai canoni della pittura tradizionale. Per lui ciò
che conta è l'essenzialità del pensiero da manifestare e quindi non gli
serve soffermarsi in quei particolari che sono, più che altro,
aggiuntivi. I soggetti rimangono nella loro completa integrità
trasformati quasi in visioni sognate senza nulla togliere a ciò che sono
di fatto. Il colore si fa perciò spesse volte trasparente oppure diviene
esso stesso motivo di composizione scenica. Prevale il concetto in
quanto tale, che sulla tele viene ad acquisire la sua importanza e il
suo valore completo. L'aspetto paesaggistico Vincenzo Romanelli lo
considera come punto di partenza per una serie di altri aspetti più
importanti. Come la sensazione del bello che impreziosisce una semplice
visione. Non è facile trasportare tutto questo sulla tela. Eppure
Romanelli vi riesce con la sua bravura interpretativa, con la sua
attenzione verso tutto ciò che è degno di essere osservato più con
l'intelligenza che con i segni. Da qui le opere altamente significative
di un animo delicato, che ama appunto la bellezza in quanto tale senza
voler cadere in estetismi di mestiere. D'altra parte pensiamo che
Romanelli non ne sarebbe capace. È troppo sensibile. Questa sua
sensibilità la si nota non solo parlando con lui, ma "vivendo" da vicino
e con lui le sue opere, in quelle delicate trasparenze tonali, in quei
colori che alle volte diventano forti e, perciò stesso, manifestazione
di sentimenti diversi ma pur sempre nobili. Le figure non si discostano,
nel loro significato, dai temi fin qui illustrati. Si ha la
partecipazione con il personaggio, non mai ieratico o solenne, ma
confidenziale, come ci piacerebbe che fossero tutti gli uomini, noi
compresi. Molto buono il disegno e l'impasto del colore.
Lino Lazzari
da "Eco di Bergamo", 1978
Dalla Puglia ritorna ancora una volta a Brescia (sua città) Vincenzo
Romanelli. E non poteva mancare l'omaggio accattivante al centro
storico. Il Duomo Vecchio spolverato di neve e solitudine, alcuni
portali di chiese rinascimentali, Sant'Agata, il Carmine, brevi e
stretti vicoli dove la gente si infila come in corridoi aperti,
piazzette e altro dei quartieri più antichi. Il tutto all'insegna di una
voluta dimensione "povera" che è la sigla propria di Romanelli. A mezzo
tra espressionismo e dimessità delle cose e del mondo fuori di noi
questo artista arriva agli esiti migliori quanto più libera la tela
restando all'osso. Alcuni esempi al di là dell'omaggio cittadino
esemplificano bene il concetto. Si veda il materasso arrotolato sul
letto, la vecchia casa in collina, un viottolo di campagna, alcuni
capanni sulla palude. Il colore si impasta di bruni terrosi, s'abbassa
il cielo fino a confondersi con la zolla, il respiro delle cose si fa
agro, dominato dalla solitudine.Neanche un volo di uccelli nell'aria.
Luciano Spiazzi
da "Bresciaoggi" del 8 Aprile 1978
Una parola che torna spesso nelle cronache, nei saggi dell'arte
contemporanea, è "rottura". Lo stacco brusco, violento, la frattura
separante un qualcosa della sua precedente continuità dalla quale esso
dipendeva. Rottura che ha portato a nuove "mode" artistiche che con il
passar del tempo, si è visto, che di artistico non avevano nulla o ben
poco. Oggi, però, dopo tanta babele di tecnicismi e di
pseudoavanguardismi, si assiste lentamente ed altresì fortunatamente, al
ritorno sulle vie maestre. E questo moto "a ritroso" non è certo partito
dall'Italia, culla delle arti e di chissà quante altre cose, ma ancora
una volta da oltreoceano. Ma a questo punto il discorso ci porterebbe
ovviamente lontano. Diciamo subito che Vincenzo Romanelli, artista
bresciano, operante da pochi anni a Trani, quella famosa strada maestra
di un'arte vera, ricca di slanci e di genuinità, non l'ha mai
tralasciata, serbando sempre, come pochi artisti in questo periodo di
crisi e di transizione, i caratteri peculiari di un pittore coerente con
se stesso. Vincenzo Romanelli possiede perciò qualità e doti che gli
permettono di estrinsecare tutto un suo particolare mondo, un proprio
modo di essere, intimo e segreto, quasi una ideale "recherche du temps
perdu", per dirla con Proust. Ne abbiamo una conferma ulteriore nelle
più recenti opere dell'artista bresciano, ove il racconto pittorico
torna, puntualmente ricco di fermenti e di impressioni. Cogliamo, in tal
modo, nei soggetti che recano tuttora una prevalente matrice lombarda
(campi di grano, fiumi, rogge,le dolci colline bresciane), il tracciato
di una spatolata immediata, ottenuta attraverso una esecuzione scevra da
esitazioni o ripensamenti. Racconto pittorico che se da un canto par
ascritto a strutture astratte, viene infine ricondotto, mediante un
accorto cromatismo, sul piano espressivo ed emozionale di libera
compenetrazione ed effusione lirica. Più che egloga o elegia, diremo,
quindi, che i fiumi, le rogge, le colline, ecc. di Romanelli, sono il
risultato di una raggiunta misura di sè, di una conquistata sicurezza
che tuttavia non cessa di essere apprensiva e sensibile nel suo modo di
essere umana e di riconoscersi nei limiti oggettivi del mondo naturale.
Perfettamente consequenziale con l'opera prima, sta la vasta gamma dei
disegni ove Vincenzo Romanelli ha la possibilità di estrinsecare
ulteriormente, quel suo mondo intimo, soffuso altresì di amara dolcezza,
diario psicologico che con il passar degli anni si è andato sempre più
arricchendo ed affinando , come sbocco della propria esperienza e
testimonianza umana. Visi di bimbi dall'aria simpaticamente imbronciata,
sguardi severi, ma buoni di marinai e pescatori o visi rubicondi di
clowns, ove il riso è pianto segreto. Un discorso figurativo, in altri
termini, senza sofismi e finzioni, ma con la sua porzione di verità:
opere ultime di Vincenzo Romanelli, che stanno ad attestare una piena
autonomia pittorica dell'artista, senza costrizioni intellettualistiche,
totalmente guidato dal suo temperamento schivo ed altresì raccolto e
sognatore.
Aldo Carugno, 1971
Ho rivisto Vincenzo Romanelli dopo alcuni anni. Il suo volto arguto e
sorridente, così come appare sul risvolto della locandina annunziante
una sua personale a Bari, non è cambiato. È cambiato invece qualcosa
nel suo discorso pittorico. E ricordando alcune sue opere degli anni
passati (acquerelli ed inchiostri in particolare) penso alla fatica che
ciò gli ha comportato, penso alle incertezze e ai ripensamenti; in fondo
la crisi del naturalismo lo ha interessato proprio da vicino. Il suo
linguaggio oggi si è fatto più libero, ha eliminato cadenze gelosamente
custodite, particolari superflui, le tautologie. Ora costruisce ma non
lambicca più il colore, lascia insomma libero campo ad una
rappresentazione meno epidermica della realtà e di conseguenza le sue
tele sono meno edulcorate, meno convenzionali quando riflettono con
forza l'emozione breve di un momento o conquistano la immagine rapida
di paesaggi lombardi cari nella memoria, o quando suggeriscono infine l'
impressione di una grande forza emotiva inespressa, di una suggestione
profonda alla quale aderisce l' impulso del sentimento più che il
dettato dello ragione. E questo, attraverso una dilatazione luminosa di
terre bruciate, di tutta una gamma di verde,di ocra e di rossi, con
pennellate perentorie, che ora fanno divampare il colore ed ora lo
frantumano in una fantasia di toni, con un segno, sempre più secco,
nervoso, incisivo, quanto basta per non restare imprigionati in una
memoria decadente, in una macerazione crepuscolare. Così Romanelli, alla
luce di questo atto di fede nella sua pittura, cerca ora di esprimere le
testimonianze della propria coscienza. Ma possiamo essere ottimisti:
niente, abbiamo imparato, può fermare lo sviluppo di una visione.
Domenico Di Palo, 1971
La mostra di Vincenzo Romanelli alla A.A.B. è un esempio da
segnalare. Dopo le prime prove, ispirate da una vocazione sincera, ma
ancora acerbe, generiche, ricalcate su moduli correnti, sono venuti
attraverso anni di ricerca paziente, di applicazione volonterosa, alcuni
di questi olii che costituiscono un primo risultato poetico, un punto di
partenza sicuro per uno svolgimento che si preannuncia ormai sotto
fausti auspici. Romanelli è andato elaborando con esercizio costante la
sua ispirazione. Dopo tanto riprovare con chine, inchiostri e
acquerelli, eccolo ora riuscire ad una pittura a olio talvolta più
fluida, talvolta cromaticamente più forte e intensa. I quadri migliori,
in mezzo evidentemente a prove ancora un pò incerte e deboli, indicano
già inequivocabilmente quale sia l'indole artistica di Romanelli, quali
le inclinazioni da coltivare: un realismo capace di esprimere con
commozione autentica la poesia vivificante della natura: un realismo
spoglio, dimesso, essenziale, un senso di terra nuda e vera, di terra
madre espresso senza orpelli o forzature,con poche immagini elementari e
di taglio non convenzionale: (il muro di un povero capanno sbilenco, un
campo giallo con una striscia di cielo grigio-azzurro, alcuni tronchi
mozzi e nodosi,una pietraia brulla e deserta). Dove più agisce questo
senso solido, corposo, ora aspro e petrigno, ora tenero e pastoso della
realtà, li anche il colore, il disegno si fanno più densi ,più ricchi di
sostanza espressiva superando è in efficacia poetica-le sfere dal fare
largo diluito ma anche più approssimativo e convenzionale.
Elvira Cassa Salvi
da "Il Giornale di Brescia" del 15/12/67
- Quanto al giovane bresciano Vincenzo Romanelli che espone nell'altra
sala della medesima galleria, dalla mostra che tenne un paio d'anni fa
mi sembra abbia progredito. Egli è tendenzialmente un espressionista e
un lirico, ha un fare largo, un colore intenso ma più incline alle note
basse che a quelle alte, con accordi ben combinati. Mi sembra che le sue
cose migliori siano quelle eseguite scioltamente con le chine colorate e
magari qualche tocco di penna, in cui è più diretto e limpido di colore.
Mario Lepore da "Corriere Milanese", aprile 1967
- Vincenzo Romanelli, da Brescia, è un autodidatta che può avvalersi
di una tecnica ricca di espressioni pittoriche. Espone alla galleria d'
Arte Accademia degli olii dotati di una coloristica veramente pregevole,
mentre negli "inchiostri di china colorati" trovo un ben dosato
illustratore dalla mano sicura. Consiglio al Romanelli di insistere
negli olii ove il suo temperamento pittorico viene meglio espresso.
Tato Mazzieri
- Libertà formale, rapidità di stesura, sono due doti che danno la
possibilità, al Romanelli, di creare cose di notevole ariosità. È un
acuto narratore che sa cogliere l'essenza delle cose con il loro spirito
di cose semplici che colpiscono la fantasia del poeta.
Manlio Alzetta
da "Voce di San Marco", Mestre-Venezia, maggio 1960
- Vincenzo Romanelli, acquerellista bresciano, ha una vena assai
piacevole e fluida. Egli, nella sua personale alla Galleria "La
Vetrina", presenta opere interessanti, dalla pennellata schietta ed
espressiva.
Paolo Ricci
da "L'Unità", Napoli, aprile 1960
- il discorso pittorico del Romanelli è bozzettistica, e diciamolo
pure alla "vecchia maniera" , ma nel senso più letteralmente positivo
della parola: onde senza ricorrere ad esempi analogici, basterà
soffermarci per poco innanzi ad ogni quadro per ritrovarci tra pescatori
d'un tempo, vecchie carrozze, antichi quartieri poveri, un mondo
diventato irreale e che tuttavia resiste quando riviene fuori dalla
sincerità rappresentativa e sicura d'un artista che ha istinto e
temperamento capaci di elevarsi a poesia. E.Alvino (da "Voce del Sud" -
Lecce - novembre 1959) egli persegue con sicurezza un cammino vecchio
di decenni con una tecnica anch'essa carica d'anni. Ha tuttavia tale
freschezza e tale facilità discorsiva, che si esprime in facilità di
tocco, da creare nell'osservatore, una suggestione libera da ogni
complicazione estetica e da ogni teorisma para-critico.
E.Bonea
da "La Tribuna del Salento", novembre 1959
- acquerellista di potenza creativa veramente efficace. Vincenzo
Romanelli nella sua personale, ha dimostrato di possedere doti
eccellenti per intuito di arte e tecnica. Impostate su una
caratteristica personale, le opere del Romanelli elargiscono soavi sensi
di una commovente liricità, così che l'osservatore intravede, nella
composta coerenza coloristica, il linguaggio sereno, caldo e armonioso,
di un artista che conosce disegno e tecnica pittorica. Eccellente
impressionista il Romanelli si rivela dotato di squisita sensibilità per
cui consegue nelle sue opere risultati davvero soddisfacenti.
Gino Spinelli da "Sette Giorni", Bari, settembre
1959
- Romanelli è un pittore particolarmente felice nel cogliere saporosi
appunti e notazioni immediate, giovandosi della sua consumata esperienza
di acquerellista.
da "La Gazzetta del Mezzogiorno", settembre 1959
- Romanelli è un acquerellista spontaneo, che sa cogliere l'aspetto
poetico delle cose senza concedere troppo alla forma e valorizzando le
possibilità dell'acquerello senza indulgere a facili scappatoie. Si deve
notare anche come questo giovane acquerellista si adatta con facilità in
composizioni varie, cogliendo nella natura diverse direttrici
prospettiche e riuscendo così a variare efficacemente il suo periodare
paesistico.
Fantini
da "L'Eco di Bergamo", aprile 1959
..Vincenzo Romanelli espone in questi giorni un buon numero di acquerelli
alla Galleria Internazionale. Sono paesaggi di Puglia, di Liguria, di
Francia, colti con il sapore dell'appunto. Molto sensibile al colore,
Romanelli lo stende con abilità entro una ben precisa definizione di
disegno. Piacevoli e festosi, questi acquerelli riescono gradevoli,
anche per il melodico caldo succedersi di motivi marini. E il colore,
l'ambiente, ci ricordano a volte il Marotta dell'ORO DI NAPOLI.
Maria Punzo
dal "Giornale del Popolo" di Bergamo, aprile 1959
- del giovane pittore Vincenzo Romanelli riescono gradevoli l'impeto,
il brio e la vivezza degli acquerelli: impressioni roride, rapide,
gustose. Ovunque vi è movimento, brulicare di uomini e cose: l'attimo
fuggitivo è fissato nel suo palpito di vita.
Jole Simeoni Zanollo
dalla Rassegna "Vita Veronese", dicembre 1958
- si tratta di un artista che ama cogliere impressioni di ambienti
visitati; piccole spiagge, casette affacciate sul mare, piazze di paesi,
casolari. Tutto è reso con un disegno ben equilibrato, di immediata e
fresca comunicatività. Dal punto di vista critico va segnalato il
carattere di estrema compostezza con il quale l'autore affronta un tal
genere di pittura: la buona tecnica ed un vivace senso coloristico.
Questi acquerelli dimostrano infine una notevole sapienza compositiva ed
una buona conoscenza del mezzo espressivo.
Carlo Segala
dal "Gazzettino Veneto", novembre 1958
Lo stile è l'uomo; ogni artista ha il suo centro di interesse: vi è
l'umanista che è incline alla figura ed alla composizione, il romantico
che riporta sulla tela o sulla carta il sogno di un paesaggio caro e
consueto, ed infine vi è il pittore irrequieto, moderno, che viaggia e,
dalle cose viste, coglie quel che più gli piace prendendone saporosi
appunti.
Vincenzo Romanelli appartiene a quest'ultimo gruppo: è un annotatore
sagace e spiritoso, è un visitatore curioso che si addentra nel cuore
dei quartieri più vivi, quelli del popolo, soprattutto quando ritorna in
alcuni luoghi della costa pugliese, che sono "suoi" perchè da quelli è
originario, e riporta sulla tela o sul cartone le stradette a mare,
rallegrate da festoni di reti, popolate da pescatori e marinai, ingombre
di masserizie all'aperto e di bancarelle multicolori oltre le quali
s'intravede il mare.
Romanelli dipinge ad olio e all'acquarello: più cupo e più drammatico
nella prima delle due tecniche, dove la ricerca del tono diventa
ripensamento della realtà oggettiva e manifestazione di un profondo
stato d'animo; più cordiale nella seconda, come si trovasse a suo più
largo agio, quando soprattutto disegna con robusti e incisivi tratti e
colora con gustosa cautela e con delicate trasparenze il disegno
compiuto.
Questi acquerelli, in particolar modo, si fanno guardare con piacere;
cosa non tanto frequente di questi tempi in cui i pittori sembran fare
di tutto per riuscire sgraditi. Vincenzo Romanelli offre perciò una
pittura spontanea, simpatica, così come un buon scrittore presenterebbe
un piacevole e garbato libro di novelle d'ambiente popolaresco.
Lorenzo Favero, 1958
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